La Storia

L'origine delle arti marziali si perde nella notte dei tempi ma il loro sensazionale sviluppo in Asia si ebbe grazie alla fusione con i principi del Buddismo indiano e del Taoismo cinese.La tradizione ci rimanda a Bodhiharma (Ta Mo in cinese, Daruma in giapponese), monaco indiano che nel 520 d.c. andò in Cina per diffondere il Buddismo. Soggiornò molti anni nel monastero di SHAOLIN (Shorinji in giapponese), il cui nome significava "giovane foresta", ai piedi dei monti Sung-Shan, nella provincia di Honan. Qui fondò una scuola impostata sulla meditazione: Dhyana in sanscrito, Chan in cinese, Zen in giapponese. Viste le non buone condizioni fisiche dei monaci, insegnò loro degli esercizi di respirazione e di ginnastica e, secondo la leggenda, anche delle tecniche di combattimento a mani nude, che col tempo furono arricchite e perfezionate sotto la generica denominazione di WUSHU, ossia "arti marziali" (bujutsu in giapponese). I tantissimi stili di wushu si sono sviluppati lungo due direttrici. La prima prende il nome di WEI CHIA e comprende gli stili "esteriori" o "duri" di lotta, che si fondano sull'uso della forza in linea retta. La seconda direttrice è la NEI CHIA e comprende gli stili "interiori" o "morbidi", che sviluppano il concetto di WU WEI, solitamente tradotto con "non azione", ma sarebbe meglio dire "non ingerenza" rappresenta la capacità di dominare le circostanze senza opporvisi, arrivando a sconfiggere un avversario cedendo apparentemente al suo assalto per neutralizzarlo con movimenti circolari e rivolgere contro di lui la sua stessa forza. Gli stili duri, che facevano capo al tempio Buddista di Shaolin, a Okinawa generarono il KARATE, diffuso in Giappone da Gichin Funakoshi (1868-1957). Gli stili morbidi, che facevano capo al tempio Taoista di Wutang, in Giappone generarono il JU JUTSU , da cui sono derivati il JUDO di Jigoro Kano (1860-1938) e l'AIKIDO di Morihei Ueshiba 1883-1969). Il NIHON SHOKI o NIHONJI (cronaca del Giappone, compilata nel 720 d.c.) riferisce che già nel 230 a.c. ebbero luogo pubbliche competizioni di forza, che servivano anche a selezionare gli uomini più vigorosi, destinati alla guardia imperiale o alla formazione di corpi speciali. Il più famoso incontro di lotta che si ricordi fu quello combattuto davanti all'imperatore Suinin (29 a.c.-70 d.c.) da Taima-no-Kuyehaya e Nomi-no-Sukune, che uccise l'avversario spezzandogli la schiena. Il vincitore ricevette onori e ricchezze, nonchè l'incarico di regolamentare il suo efficacissimo metodo di lotta per renderlo meno pericoloso.

Le molte scuole di ju jutsu, pur con diverse sfumature, fecero proprio questo fondamentale concetto, che rivoluzionò la maniera di lottare: la morbidezza può vincere la forza. Va inoltre sottolineato che "ai livelli più alti delle arti marziali, il punto più importante di tutte queste strategie stà nello sviluppare una sensibilità intuitiva verso le leggi dell'universo. Lo scopo più profondo non è semplicemente sconfiggere gli avversari, ma giungere al "modo" ("DO" o "TAO"), che è il modo in cui funziona l'universo" (PAYNE). Il ju jutsu si sviluppò sotto nomi diversi a seconda del gruppo di tecniche che si preferiva approfondire (proiezioni, immobilizzazioni, percussioni, ecc.), raggiungendo il massimo splendore durante il lungo periodo di pace instaurato da Ieyasu Tokugawa dopo la battaglia di Segikahara (1603) e la conquista del castello di Osaka (1615). La fine delle guerre civili che avevano insanguinato il Giappone dal XII secolo, interrotte soltanto per respingere le invasioni mongole di Kublai Khan, lasciò disoccupati migliaia di SAMURAI, che divennero perciò RONIN ("uomini onda", ossia guerrieri senza padrone). Molti di loro pensarono quindi di mettere a frutto quanto avevano appreso sui campi di battaglia, raccogliendo e perfezionando le tecniche di combattimento senz'armi ereditate dal passato e mentre in precedenza esistevano solo scuole private ad uso dei grandi clan, ognuno dei quali elaborava e tramandava al suo interno colpi di particolare efficacia, sorsero allora scuole di bujutsu (arti marziali) aperte a tutti. L'uso strategico del corpo umano raggiunse livelli sbalorditivi di efficenza. Due secoli e mezzo di pace durante lo shogunato Tokugawa furono possibili grazie a un rigoroso controllo verticistico che tendeva al mantenimento dell'ordine. Divennero difficoltosi i contatti all'interno e furono decisamente vietati quelli con l'esterno, pena la morte, relegando il paese fuori dalla storia.

Nomi-no-Sukune selezionò allora 48 colpi (12 riguardavano la testa, 12 il tronco, 12 le mani e 12 le gambe) e chiamò SUMO il nuovo stile.Da una forma di combattimento primitivo e cruento (chikara kurabe), il sumo progredì verso una forma di addestramento militare, fino a divenire un vero e proprio rito durante le raffinate epoche Nara ed Heian, imbevute di cultura cinese: l'imperatore Shomu (724-740), infatti, lo incluse tra i giochi della Festa di Ringraziamento per il raccolto. L'importanza del sumo fu veramente grande, visto che nell'858 Korehito e Koretaka, figli dell'imperatore Montoku, arrivarono a disputarsi il trono con un incontro di lotta tra i loro campioni Yoshiro e Natora. I primi lottatori professionisti si esibirono a Edo nel 1623. Nonostante qualche dimostrazione all'estero, il sumo ha sempre avuto un carattere esclusivamente nazionale ed ancora oggi gli incontri si svolgono secondo l'antico cerimoniale, compreso il lancio propiziatorio di sale sulla pedana. Dal Giappone si è invece diffuso in tutto il mondo il Ju jutsu, o "arte della flessibilità" le cui origini si perdono nelle leggende. La più nota racconta che intorno alla metà del '500 un medico di Nagasaki, SHIROBEI AKIYAMA, si recò in Cina per approfondire le sue cognizioni sui metodi di rianimazione, che presupponevano una perfetta conoscenza dei punti vitali del corpo umano. Akiyama, uomo di moltiforme ingegno, approfittò del soggiorno nel continente per studiare anche il Taoismo e le arti marziali cinesi. Tornato in patria, durante un periodo di meditazione notò che i rami più robusti degli alberi si spezzavano sotto il peso della neve, mentre quelli di un salice si piegavano flessuosi fino a scrollarsi del peso, per riprendere poi la posizione senza aver subito danni. Applicando alle tecniche di lotte apprese in Cina le considerazioni maturate sulla cedevolezza o "non resistenza", fondò la scuola YOSHIN (del "cuore di salice"). Non è questa la sede per trattare del Taoismo, ma va evidenziato che alla sua base stanno i due principi complementari e contrapposti YANG e YIN, l'aspetto positivo e negativo dell'universo: nessuno dei due può esistere senza l'altro. Nel mondo tutto è in perpetua mutazione tra questi due poli attraverso combinazioni dinamiche. Lo yang rappresenta la durezza e l'attacco, lo yin la morbidezza e la difesa. Dal TAO TE CHING, il testo cinese attribuito a Lao-tzu, è significativo citare alcune massime di grande importanza per il nostro studio:

Il più cedevole nel mondo / Vince il più duro.
L'uomo nasce debole e delicato / Muore rigido e duro (rigido e robusto sono i modi della morte/Debole e flessibile sono i modi della vita.)
La massima del buon combattente è : assecondare per mantenere l'iniziativa / Vince colui che lascia.

Intorno alla metà del XIX secolo, però, alla ricerca di nuovi mercati commerciali, le grandi potenze decisero di porre fine all' isolamento nipponico. L'8 luglio 1853 il commodoro statunitense Matthew Calbraith Perry giunse nella baia di Uraga con le sue celebri quattro "navi nere", chiedendo a nome del presidente Fillmore l'apetrura del Giappone al mondo occidentale. In seguito ai temporeggiamenti nipponici, Perry tornò nel febbraio 1854 con otto navi, facendo chiaramente intendere che non avrebbe tollerato il rifiuto. Al trattato di Kanagawa con gli USA seguirono ben presto quelli con la Gran Bretagna e Russia, gettando nello sconforto quanti avrebbero preferito morire combattendo contro un nemico meglio armato che sottostare a un umiliante cedimento. I contrasti tra "falchi" e "colombe" si acuirono via via fino a spaccare il paese. Ne conseguì inevitabilmente una sanguinosa reazione a catena, culminata nel 1868 con la fine del BAKAFU (shogunato) Tokugawa e con la "restaurazione Meiji": Dopo sette secoli il potere politico dalle mani dello shogun tornava in quelle dell'imperatore. Il giovane Mutsuhito, 122° esponente della dinastia, trasferì la capitale da Kyoto (ove risiedeva dal 794) a Edo, che chiamò Tokyo, ossia "capitale dell'est", inaugurando l'era Meiji, di "governo illuminato". Nei primi anni dell'era Meiji (1868-1912), sotto l'infatuazione per la civiltà e i costumi occidentali, il bujutsu subì una rapida decadenza (anche per l'enorme diffusione delle armi da fuoco) e non pochi esperti, rimasti senza allievi, per sopravvivere in una società profondamente mutata dovettero esibirsi a pagamento in squallidi locali o finirono nella malavita. I maestri non tramandavano più il loro sapere, portandosi nella tomba i segreti del RYU (scuola): un grande patrimonio di nobili tradizioni stava per scomparire. Questo era il triste spettacolo che apparve a Jigoro Kano.


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