di Giulio
Mazzolini
Perché molti hacker scrivono software libero?
Perché scrivono software da condividere con altri hacker?
Perché
scrivono
codice e non lo tengono stretto, nascosto, perché sono
contenti di condividerlo?
Non
tutti gli autori di software condividono il loro lavoro, alcuni
preferiscono non farlo conoscere ad altri, non desiderano che venga
copiato, che altri possano ottenere benefici dal loro lavoro, hanno
paura che le loro conoscenze vengano apprese da terzi, preferiscono
mantenere un atteggiamento elitario, egocentrico, individualista.
Al
contrario altri programmatori sono lieti di condividere il loro
lavoro, sono contenti che il loro codice venga copiato, studiato,
capito e migliorato.
Per
molti non addetti ai lavori, i programmatori di software sono simili
agli alchimisti di un tempo, si interessano di cose complicate,
strane, che non sono alla portata della gente comune, sono avvolti in
un alone di mistero.
Ma
gli hacker, a differenza degli alchimisti, vogliono far conoscere
quello che fanno e quello che scoprono, sono lieti che altri
conoscano, instaurando un meccanismo di diffusione della conoscenza e
della sua crescita.
Qualcuno
ha cercato di fornire una risposta alla domanda iniziale, per esempio
Josh Lerner e di Jean Tirole nel loro libro The simple economics
of Open Source, ci spiegano come mai un modello così
diverso da quello proprietario sin qui utilizzato per lo sviluppo del
software abbia avuto così tanto successo.
Lerner e Tirole
cercano di dare una spiegazione puramente economica al
fenomeno. Figli della cultura dominante neo-liberista, non possono
concepire altra molla dell'attività umana che il profitto.
Quindi sostengono che i programmatori di software open source
operano per ottenere un riconoscimento alle loro capacità (lo
chiamano career concern), che non riuscirebbero ad avere nel
mondo proprietario a causa della difficoltà di entrarvi e
anche per il fatto che il lavoro dello sviluppatore non è
solitamente conosciuto all'esterno della azienda che sviluppa
software proprietario in cui lavorano. Riconoscimento che ovviamente
potrebbe servire ad ottenere in futuro posizioni ben remunerate.
Evidentemente
gli autori non riescono a capire che l'atteggiamento degli hacker non è
dettato da interessi economici e si sforzano di trovare una
spiegazione comunque legata alla attesa del profitto, questa volta
posticipato.
In
un oramai famoso scritto, la Cattedrale e il Bazar, Eric
Raymond, ha definito la differenza tra il modello aperto del software
libero e quello chiuso delle aziende, paragonandoli rispettivamente
al bazar e alla cattedrale.
Nel modello Bazar l'invenzione è
aperta, le idee sono messe a disposizione di tutti, cicolano, vengono
criticate e migliorate grazie all'apporto di centinaia o anche
migliaia di programmatori. Al contrario il modello Cattedrale è
quello in cui poche persone progettano tutto da soli, senza apporti
esterni.
Con
il modello Bazar gli obbiettivi vengono raggiunti in modo molto più
efficiente.
Ma
la visione di Raymond non è molto soddisfacente, la spinta al
modello aperto sarebbe la consapevolezza che questo è più efficiente
di quello chiuso, la Cattedrale.
Quindi
non un'attesa di profitto differito, ma un metodo maggiormente
efficace.
Raymond
coerentemente ha proposto alle aziende di adottare il modello Bazar,
in quando più efficiente, chiamandolo open source, per
il quale basta che il codice sia messo a disposizione.
Scrissi
nel 1998 a Linux Journal a proposito di un incontro del Open Source
Group:
Eric afferma che Open Source intende convincere il mondo
delle aziende a utilizzarlo per ragioni economiche, di interesse,
non-ideologiche.
Ma il movimento del software libero non ha
interessi e motivi economici, ma proprio ragioni ideologiche.
Senza la convinzione di migliaia di persone che quello che stanno
facendo è bene per la comunità, che è la cosa
giusta, il movimento scomparirebbe in breve tempo.
Richard
Stallman mi scrisse a proposito:
Grazie per aver scritto loro;
sono certo che tu sai già che penso proprio nel tuo stesso
modo. Quando vidi Eric Raymond l'ultima volta, diceva di voler usare
il termine "open source" per persuadere la gente negli
affari a interessarsi al software libero. Non vedo niente di male in
questa strategia, se funziona. Ma dobbiamo continuare a parlare di
libertà quando parliamo con altri programmatori.
Stallman
ha messo il dito nella piaga, la libertà, non l'efficienza.
Mariella
Berra propone un altro modello di interpretazione del perché
gli hacker non si aspettano un interesse economico, quello del dono
primordiale. In breve le società primitive trovavano un
base di coesione sociale nel dono, che obbligava il ricevente,
creando legami socializzanti non immediatamente economici. Gli hacker
si comporterebbero quindi secondo questo modello.
Il modello del
dono primordiale sembra sicuramente migliore di quello del profitto
differito e del Bazar, ma non sembra ancora
soddisfacente.
Chi volesse approfondire l'argomento può
leggere il bel libro "Informatica Solidale" di Mariella
Berra e Angelo Raffaele Meo, Bollati Boringhieri editore.
Pekka
Himanen nel suo libro L'etica hacker propone un modello
diverso, che sembra molto più interessante: quello
dell'Accademia e del Monastero.
Dice Pekka:
Un'altra
possibile allegoria per il modello open-source è rappresentata
dall'Accademia, a cui assomiglia ancora più direttamente del
bazar. Anche gli scienziati mettono a disposizione liberamente il
loro lavoro affinché gli altri lo usino, lo testino e lo
sviluppino ulteriormente...
èuna continuazione della
synusia dell'Accademia platonica, che comprendeva anche l'idea
dell'avvicinamento alla verità attraverso il dialogo
critico...
... gli scienziati hanno scelto questo modello ...
perché nel tempo si è dimostrato il modo più
efficace per creare un sapere scientifico.
L'Accademia è sicuramente efficace, ma questa efficacia punta alla
creazione del sapere scientifico e filosofico.
Le
argomentazioni di Pekka sono molto convincenti perché seppur
conservando il concetto di efficacia del modello Bazar, ci
porta nel cuore del problema, che Stallman chiama libertà,
e che Pekka chiama avvicinamento alla verità.
Il
modello Accademia ha come obiettivo valori importanti, quali lo
sviluppo della conoscenza, del sapere scientifico e filosofico,
possiede in se stesso dei valori etici per cui non solo i contenuti
dello studio sono elevati ma anche il metodo di studio è un
elemento indissolubile alla formazione della conoscenza, educa gli
appartenenti all'Accademia all'uso della libertà, della
critica, della discussione.
Il
modello del Monastero al contrario, secondo Pekka, si basa
sull'autorità. La Regola benedettina predica obbedienza cieca,
il lavoro e la preghiera, la sottomissione al priore. Il
comportamento che qualsiasi padrone vorrebbe avere dai suoi
dipendenti, programmatori inclusi.
Il
modello Accademia spiega molte cose meglio del modello di Raymond.
Intanto non è vero che il modello Cattedrale non possa
produrre codice open source. Sicuramente Stallman per un certo
periodo ha programmato da solo in splendido isolamento, eppure
ha prodotto ottimo software libero. Eppoi il Bazar è caotico,
non è un luogo dove si produce cultura, ha come fine solo una
attività economica, mentre nell'Accademia non solo si
insegnava il metodo della ricerca ma anche i contenuti dello studio
erano ai più alti livelli della conoscenza di allora.
L'Accademia platonica era scuola e associazione religiosa, possedeva
terreni e edifici, si interessava di filosofia, di religione, di
ricerche scientifiche, di matematica, di astronomia, di storia e di
storia naturale.
Nel
modello Accademia gli hacker si trovano collocati in una dimensione
diversa, quella di alchimisti, di curiosi, di ricercatori, di
scienziati, di scopritori, animati dalla molla dell'invenzione e
della scoperta ma, soprattutto, lo fanno con un metodo importante,
quello della condivisione della conoscenza, della discussione, della
libertà di critica e di ricerca. E lo fanno in una Accademia
virtuale che li accomuna, la rete.
Il
modello dell'Accademia suggerito da Pekka piace in quanto colloca il
software libero in un ambito diverso da quello in cui viene
attualmente viene messo negli ambienti di cultura anglosassone, dove
si esalta soprattutto la libertà dell'individuo. La tradizione
culturale europea è al contrario storicamente impregnata da
forti valori sovra-individuali, le comunità cristiane, le
corporazioni, lo stato, il clan, il socialismo. Ecco che il modello
Accademia mette in risalto non solo l'individuo ma anche la
conoscenza per il bene comune della collettività.
Resterebbe
da spiegare ancora la molla che spinge l'uomo alla scoperta,
all'invenzione, alla creazione.
Ancora
Pekka ci suggerisce un risposta. La molla della creazione potrebbe
essere innata nell'uomo, come lo sono le spinte a sfamarsi, a
procreare, a socializzare. In fondo , dice Pekka, la Bibbia ci
racconta che Dio, quando creò il mondo, ne era molto
soddisfatto. Allora se siete credenti vi basterà ritenere che
la spinta alla creazione sia un dono di Dio. Se invece siete
agnostici come me, potete sempre pensare che gli uomini hanno
attribuito a Dio la soddisfazione della creazione proprio perché
per loro era una cosa molto, ma molto importante.
gennaio
2004
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