antonio bernardi
docente di
informatica
presso l'I.P.C. Fabio Besta di Treviso
L'esperienza maturata all'Istituto Fabio Besta di Treviso dimostra
che è possibile introdurre e sviluppare la formazione di nuove
figure professionali nella scuola italiana, legate alle realtà
territoriali e, nel particolare, alle esigenze della nuova economia e
delle nuove tecnologie innovative, grazie alla scuola dell'autonomia.
La cultura della autonomia si può far risalire all'art. 33
della Costituzione Italiana dove si afferma che "L'arte e la
scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento".
Ma è nel 1997, con la legge sulla sperimentazione
dell'autonomia didattica (1) che vengono previsti ambiti, competenze
e finanziamenti per una sua attuazione. E probabilmente sarà
con la riforma della scuola italiana che si darà ulteriore
spazio all'autonomia scolastica.
L'ambito nel quale prende forma la figura professionale del tecnico del commercio elettronico è l'ambito della autonomia scolastica, dell'autonomia progettuale, e più in generale dell'autonomia culturale, all'interno della quale si può realizzare più compiutamente il dettato costituzionale della libertà d'insegnamento.
Per attuare questa figura professionale, inoltre, sono stati utilizzati gli spazi offerti, nella scuola pubblica professionale, dalla terza area di specializzazione. In sostanza in quest'ordine di scuole nelle classi quarte e quinte, un giorno alla settimana, la scuola può essere gestita, in piena autonomia, dai docenti della scuola stessa su un progetto didattico.
Pertanto l'autonomia didattica ed organizzativa ci può liberare dagli impacci burocratici e dalla subalternità al monopolio dell'informatica, che spadroneggia nell'area delle cosiddette alte tecnologie.
Tra il 1995 e il 1996 esplodeva 'Internet' a livello di massa e, nella scuola italiana sempre più insistentemente si iniziava a parlare di multimedialità. La multimedialità va intesa come scambio, sulla rete, di informazioni di vario tipo: testo, grafico, musicale, video. La comunicazione è globale (Internet), le informazioni sono di vario tipo (multimedialità), e all'interno di esse ci si può spostare da una informazione all'altra (ipertesto).
A quel punto i programmi scolastici necessitavano di una
rivisitazione, in particolar modo i programmi di informatica, la
disciplina che più di ogni altra veniva coinvolta da questa
nuova realtà.
Si trattava infatti di collocare la
multimedialità in una scuola pubblica professionale per il
commercio ad indirizzo informatico, si trattava di leggere il
fenomeno Internet nei suoi aspetti fondamentali: la rete, lo scambio
di informazioni in rete e la multimedialità come forma delle
informazioni che si scambiano nella rete.
Ma lo scambio di
informazioni già ci introduceva al concetto di transazione
tramite la rete.
E tra gli scambi prendeva sempre più
piede la compravendita on-line.
Prendeva forma il commercio
elettronico. Sia come commercio tra aziende, sia come transazioni tra
azienda e consumatore.
I beni potevano essere informazioni o
merci vere e proprie.
In sintesi molte operazioni che prima si
facevano recandosi a piedi o di persona in un negozio si potevano
fare da casa o dalla propria sede aziendale, via Internet.
Questa
è ormai una realtà consolidata, nasce la moneta
digitale, la firma digitale, ecc.
Ora, ad esempio, con la posta
elettronica si può scrivere in qualsiasi parte del mondo quasi
in tempo reale; con il web le aziende e le singole persone possono
ordinare beni, operare in borsa da casa, possono stipulare contratti
a distanza, ecc.
E' la rete che permette i vari tipi di
transazioni.
In breve tempo si e' delineato lo scenario di massa
di Internet in una sua naturale conclusione: il commercio
elettronico.
Commercio elettronico che diventa anche una ragione
dello sviluppo di Internet a livello di massa.
Ciò darà
origine ad implicazioni sia di carattere giuridico che di carattere
organizzativo, soprattutto per le aziende e per la società più
in generale.
Il commercio elettronico, pertanto, oltre a far ripensare l'insegnamento dell'informatica, implicava anche nuove programazioni per gli insegnamenti del diritto, della organizzazione aziendale e delle tecniche di mercato.
Nascono nuove figure professionali che dovranno coniugare i nuovi saperi tecnologici con i saperi giuridici, aziendalistici, anche questi coinvolti da questa grande trasformazione. La lingua di comunicazione più diffusa in Internet è l'inglese.
La multimedialità porta, perciò, inevitabilmente in una scuola ad indirizzo commerciale e informatico alla formazione di una figura professionale che dovrà possedere conoscenze relative al commercio elettronico, in tutte le sue sfaccettature: informatica, diritto, organizzazione aziendale, lingua inglese (2).
Il tutto nasce con la rete Internet che deve il suo sviluppo anche al fatto che la 'suite' dei suoi protocolli tcp/ip (trasmission control protocol/internet protocol) sono degli standard aperti.
Un protocollo lo possiamo assimilare alle specifiche di una presa
elettrica.
Se le specifiche sono a disposizione di tutti
(protocollo aperto) qualsiasi produttore può creare
apparecchiature che si possono collegare senza problemi, e questo a
vantaggio di tutti.
Viceversa con un protocollo chiuso ogni
produttore cercherà di rendere incompatibili i prodotti
concorrenti, avvantaggiandosi di posizioni monopolistiche.
Internet si è sviluppata su protocolli aperti, sul sapere a
disposizione di chiunque.
Ma fino ai primi anni '90 l'utilizzo di
Internet non era alla portata di tutti in quanto l'interfaccia, per
utilizzarlo, non era amichevole. L'esplosione di massa di Internet è
frutto, oltre che dei protocolli tcp/ip aperti e non soggetti al
monopolio di una azienda, della introduzione di interfacce grafiche
su personal computer che hanno reso facile il suo utilizzo (a dare il
via fu il browser grafico Netscape).
Apparentemente è
tutto semplice, basta cliccare e si naviga, si invia posta, ecc.
Svolgere una transazione in Internet è abbastanza
semplice.
Ma appunto questo non deve illuderci.
Se ci
fermassimo a questo aspetto, resteremmo alla superficie del fenomeno.
Infatti:
- quando ci colleghiamo ad Internet per navigare tra
un sito ed un altro utilizziamo il programma libero bind,
che gestisce il domain
name system (dns) che è la spina dorsale di
Internet; se il programma bind
non funzionasse più, non potremmo più comunicare, in
quanto gli indirizzi delle macchine non sarebbero più
rintracciabili;
- quando digitiamo un indirizzo per leggere
qualche pagina da un sito web, usiamo il protocollo http
che è un protocollo aperto e ci permette di leggere pagine
scritte in formato html
che anch'esso è uno standard aperto;
- quando copiamo via
Internet un documento utilizziamo un altro protocollo aperto che si
chiama file
transfer protocol (ftp);
- quando inviamo o
riceviamo posta elettronica utilizziamo protocolli aperti come
smtp e pop3
e molto probabilmente mail
transfer agent (mta) quali sendmail
ed exim,
anch'essi software libero;
e potremmo continuare la lista.
Tutto
ciò avviene senza che tanti utenti di Internet se ne rendano
conto.
Insomma Internet nasce, funziona (pare proprio bene) e ha soppiantato ogni altro protocollo di rete, proprio in virtù del fatto che i suoi protocolli sono aperti (3).
Ma tutti questi protocolli non sono facili da gestire ed amministrare.
Una cosa è usare, da utente passivo, i servizi messi a disposizione in Internet; altra cosa è gestire questi servizi per poterli offrire all'utilizzatore finale. In quest'ultimo caso, si dovranno conoscere ai vari livelli i meccanismi di questi protocolli, averne consapevolezza.
Precisata la differenza tra un uso passivo ed un uso consapevole dello strumento Internet, il problema da risolvere, al momento dell'introduzione della multimedialità nella scuola, era se un'Istituzione pubblica come la scuola dovesse assumere un ruolo di addestramento degli studenti, subalterno al mercato ed in particolare ad una azienda, o invece dovesse essere elemento di formazione professionale di persone consapevoli di quello che sarebbero andate a svolgere.
Dovevamo scegliere tra due strade.
Una strada, la più
facile, sarebbe stata quella di addestrare a navigare un po', ad
inviare e a leggere qualche lettera, a costruirsi delle pagine web
utilizzando prodotti che già le preconfezionano, ecc.
Ma
ci rendevamo conto che nel migliore dei casi gli studenti avrebbero
avuto un approccio praticistico e produttivistico alla
multimedialità, appiattendosi e delegando le proprie scelte ad
interfacce di prodotti monopolistici.
Nel migliore dei casi
avremmo ridotto il tutto all'addestramento ad una sofisticata
videoscrittura, nascondendo ogni processo di conoscenza sulle nuove
tecnologie.
Con questa impostazione avremmo imposto e alimentato
un modello di cultura che invece di padroneggiare la tecnologia ne
sarebbe stata asservita, che avrebbe mitizzato la cosiddetta alta
tecnologia secondo una logica consumistica.
I computer e le
tecnologie informatiche in essi incorporate sarebbero stati sempre
più visti come oggetto magico di culto e di consumo e sempre
meno come strumenti di lavoro da usare con cognizione di causa, per
risolvere i vari problemi.
Avremmo ridotto la preparazione degli
studenti ad una abilità psicomotoria anche se legittimati da
coloro che affermano essere "Il videogioco la più
grande rivoluzione epistemologica di questo secolo" (4).
Avremmo stabilito sottobanco l'equazione computer=informatica,
che fa credere che acquistare computer sempre più recenti
equivalga a possedere una cultura informatica più avanzata.
L'altra strada, più difficile, ci imponeva di impadronirci
delle cosiddette alte tecnologie per poterle dominare e non farci
dominare.
Dovevamo trasmettere "una cultura necessaria al
dominio della tecnologia" per comprendere "gli
aspetti funzionali delle tecnologie e dei principi scientifici sui
quali esse si basano" e far possedere agli studenti "una
padronanza delle logiche e delle tecniche di impiego utile peraltro
per lo sviluppo di una solida professionalità" (5).
Conseguentemente sul piano dell'informatica la figura doveva
prevedere l'obiettivo di conoscere e padroneggiare i meccanismi per
le transazioni in rete, per la costruzione di strutture web
interattive, eventualmente interconnesse a basi di dati, per
l'analisi dei dati stessi, ecc.
Perciò la nostra scelta relativa ai contenuti informatici sui quali formare il tecnico del commercio elettronico doveva necessariamente implicare la conoscenza di quello che sta dentro il motore. In buona sostanza di essere padroni e non succubi dello strumento tecnologico.
A questa competenza informatica si doveva aggiungere poi una rinnovata competenza aziendalistica, giuridica e linguistica.
Ecco allora che il tecnico del commercio elettronico avrebbe dovuto saper interagire da soggetto e non da mero oggetto nel mondo del lavoro e inserirsi da persona cosciente nei processi produttivi.
Ma la parte da sviluppare in maggior profondità e con estrema attenzione era la preparazione informatica, essendo la scuola professionale per il commercio vieppiù carente per motivi vari, in questa disciplina.
Una volta definita a grandi linee la figura professionale che avrebbe dovuto possedere "una cultura necessaria al dominio della tecnologia" si trattava di scegliere il software e conseguentemente l'hardware sul quale svolgere l'attività didattica.
Il problema era trovare una soluzione per allestire un laboratorio
di informatica dove poter esercitarsi sui protocolli tcp/ip,
installare una o più reti interne, simulare una internet,
svolgere una transazione in loco, gestire una lista di posta
elettronica, simulare un negozio virtuale, il tutto anche senza
essere collegati ad Internet. Eventualmente il collegamento lo
avremmo potuto fare in seguito, se necessario.
Dovevamo cercare
un software che ci permettesse di padroneggiare la situazione senza
vincoli culturali, tecnologici e, possibilmente, senza gabelle.
Il problema principale era determinato dal sistema operativo.
Il
sistema operativo è il cuore di ogni computer: serve
sostanzialmente a gestirne le risorse e sapevamo che questa scelta
avrebbe orientato e condizionato tutto il resto.
Avevamo bisogno di un sistema operativo che ci desse libertà
di azione, che ci permettesse di installare a piacimento programmi
senza dipendere culturalmente dal fornitore, avevamo bisogno
di un software che non ci trasformasse in meri propagandisti, che non
ci assoggettasse al mercato in maniera subalterna, di un software che
ci desse la assoluta libertà di conoscenza, di acquisire il
sapere per poterlo poi trasmettere agli alunni.
In definitiva
avevamo bisogno di un sistema operativo e, più in generale, di
un software che ci potesse far crescere, dovendo noi formare
successivamente.
Scoprimmo con nostro stupore e grande piacere
che quello che cercavamo c'era già, bello e pronto, a nostra
totale disposizione, per opera soprattutto di Richard Stallman,
di Linus Torvalds e di centinaia di altri programmatori che
intendevano e intendono il software come lo è un teorema di
matematica (6): era ed è il software libero, il software
GNU/Linux che si basava e si basa sulla licenza GPL (General Public
License) della Free Software Foundation (7).
Non esitammo un momento ad adottarlo per il nostro obiettivo: era il nostro software!
Aveva tutte le caratteristiche che cercavamo: aveva i sorgenti, si poteva studiare, si poteva modificare, si poteva adattarlo alle nostre esigenze, si poteva copiare senza alcuna restrizione, e per di più era gratuito.
Non eravamo più ostaggi di aziende monopolistiche del
software!
Un programma (algoritmo) fa parte del software.
Un programma è
come un tema, scritto in un linguaggio artificiale che è
simile alla lingua naturale.
Ma questo tema per essere letto
(eseguito) dal computer deve essere tradotto nella sua lingua: il
sistema binario. Il tema si chiama codice sorgente. Il tema tradotto
in binario si chiama codice oggetto.
Il codice sorgente è
comprensibile dall'uomo e contiene la conoscenza, il codice oggetto è
incomprensibile all'uomo. Le modifiche si possono apportare solo al
sorgente, che verrà poi tradotto in oggetto.
Il software è libero se il suo sapere (il tema) è a
disposizione di tutti.
Se il sapere (il tema) viene negato, si
definisce software proprietario.
Il software libero deve essere visto come una lingua: essa è libera nel senso che chiunque può usarne i vocaboli, i vari modi di dire, le costruzioni del pensiero, senza pagare alcun diritto (8).
"Il software libero si riferisce alla libertà
dell'utente di eseguire, copiare, distribuire, studiare, cambiare e
migliorare il software". Per poter esercitare queste libertà
(studiarlo, adattarlo alle proprie esigenze, migliorarlo) "l'accesso
al codice sorgente ne è una precondizione. Un programma è
software libero se l'utente ha tutte queste libertà. In
particolare, liberi di ridistribuire copie, con o senza modifiche,
gratis o addebitando delle spese di distribuzione a tutti ed ovunque.
Essere liberi di fare queste cose significa (tra l'altro) che non
bisogna chiedere o pagare nessun permesso" (9).
Costo
della licenza GPL: zero lire.
Il software libero, per sua natura, si integra perfettamente con i
protocolli aperti di Internet.
Con questo software abbiamo già
pronti tutti i protocolli di Internet, per costruirci una internet
locale: tcp/ip,
http, telnet, rlogin, smtp, pop3, ppp, ecc.
Ci
permette di riprodurre in loco una internet per qualsiasi tipo di
esercitazione: di fare tutte le prove senza problemi né di
conoscenza né economici.
Il massimo di libertà,
dunque.
La stessa libertà che ha una persona quando va in
biblioteca: ha a sua disposizione tutto il sapere che può
utilizzare liberamente e gratuitamente.
Al software libero si contrappone il software proprietario che può
solo essere usato ma non conosciuto, in quanto il produttore non ne
dà i sorgenti.
E' come mangiare una merendina senza
sapere di cosa è fatta.
Il software proprietario è
privo di sorgenti, perciò viola un principio fondamentale per
l'insegnamento dell'informatica. Come posso spiegare l'importanza
della documentazione se il software che utilizziamo è privo
della documentazione principale: i sorgenti!
La mancanza dei sorgenti rende impossibile lo studio, la conoscenza, l'adattamento alle nostre esigenze, la possibilità di migliorarlo.
In più la sua licenza d'uso fa espresso divieto di copia, perciò non si può copiare e dare agli studenti per eventuali esercitazioni. Per la nuova legge italiana sul diritto d'autore, entrata in vigore il 18 settembre 2000, riproducendo una sola copia di questo software, anche a scuola (incredibile!), si rischiano da sei mesi a tre anni di carcere (10).
Dulcis in fundo: le licenze d'uso, cioè nient'altro che dei pezzi di carta, hanno un costo assolutamente non giustificato (11).
Con il software proprietario siamo legati alla società che
lo produce e se questa è monopolistica può fare il
bello e cattivo tempo.
Di fronte a ciò non c'è
difesa.
Mi sono sempre chiesto: ma se una merce è
difettata la casa produttrice è tenuta al risarcimento, perché
quando il software proprietario monopolistico "si impianta"
e mi danneggia, non ho diritto ad essere risarcito?
E se nella merendina ci fosse una sostanza che mi arreca danno? (12)
Il software proprietario monopolistico, in definitiva, trasforma
l'insegnante di una scuola pubblica in un propagandista e piazzista,
senza dare alcun ritorno economico alla scuola stessa e ponendola al
servizio di interessi privati.
La scelta, come detto, cadde senza esitazione sul sistema
operativo GNU/Linux.
Con la filosofia GNU (GNU non è Unix)
l'accento viene posto sui sorgenti liberi e sulla licenza GPL che dà
agli utenti tutte le libertà sul software tranne quella di
trasformarlo in non libero.
Questa licenza permette di copiare il
software per usarlo solamente o per studiarlo e per essere liberi di
poter far partecipi gli altri della conoscenza ivi contenuta.
E
non nega l'uso commerciale di questo software.
Una persona o una
ditta è legittimata a farsi pagare quanto vuole, purchè
ciò che vende sia libero. Al riguardo la licenza GPL così
si esprime: "Ciascuno ha la libertà di distribuire
copie del software libero (e farsi pagare per questo, se vuole)".
Bisogna dire ancora che commerciale non significa proprietario. Sia il software libero che proprietario sono entrambi commerciali, la differenza di fondo è che il software proprietario non dà i sorgenti, mentre l'altro sì.
Qualcuno potrebbe obiettare che un "utente finale" di un
prodotto software per il suo lavoro non ha certo bisogno del codice
sorgente, che in moltissimi casi non saprebbe nemmeno leggere.
Verissimo.
E se questo ragionamento valesse anche per la
merendina?
Al riguardo ha risposto, in modo esaustivo, Roberto Di Cosmo
assimilando la conoscenza informatica alla conoscenza scientifica.
Così argomenta:
"Nessuno conosce il modo per
verificare personalmente la fondatezza di tutte le teorie su cui è
basato l'edificio delle scienze. Ma la presenza di una comunità
scientifica ci garantisce che qualcun altro potrà farlo al
posto nostro comunicando pubblicamente, ad esempio, che l'ipotesi
scientifica 'il sole gira attorno alla terrà è stata
verificata come falsa, e che invece risulta vera l'ipotesi che 'la
terra gira attorno al sole'. Nessun 'utente finale' ha dimostrato
questa teoria vera, ma tutti possiamo fare affidamento sulla comunità
scientifica che continuamente verifica le varie teorie per noi.
La verificabilità della giustezza delle ipotesi e la ripetibilità degli esperimenti è il fondamento della scienza moderna: quindi il software libero funziona meglio perché è verificabile da una comunità di specialisti che si scambia pubblicamente le informazioni senza nascondersi dietro il paravento del segreto industriale" (13).
Il software libero sta alla scienza moderna come il software proprietario sta al dogma": il primo è verificabile, modificabile e condivisibile in quanto aperto e libero, il secondo è un sistema chiuso che solo il costruttore conosce e può modificare nella parte essenziale. Insomma come quando la scienza del 1600 doveva scontrarsi con il dogma di Aristotele. Galileo poneva l'esperienza e l'esperimento come occasione di verifica condivisibile del fenomeno, mentre la scienza accademica accettava solo l'autorità del dogma" (14).
La filosofia GNU ha liberato intelligenze, creatività e
forze produttive prima umiliate e soffocate dal sistema di produzione
del software proprietario monopolistico e ne sta liberando sempre
più.
Che senso ha stare chini e pensosi davanti
all'alta tecnologia della "schermata
blu della morte"?
Nessuno!
E
nessuno sarà disposto a lavorare gratis per far funzionare un
software proprietario quando questo "si impianta",
essendo altri i beneficiari di questo lavoro.
Ma molti saranno
disposti a lavorare anche gratis per il 'bene comune',
per una cosa che è patrimonio di tutti, cioè anche di
se stessi.
E così, grazie anche ad Internet, si è formata una
comunità di sviluppatori e utilizzatori del software libero
che pian piano sono riusciti a creare un nuovo modo di produzione del
software definito da E. Raymond (15), con una metafora, stile
bazaar, un po' anarchico, ma estremamente dinamico ed innovativo,
contrapposto allo stile cattedrale del software proprietario,
che deprime l'innovazione, tutto preso a difendere posizioni di
privilegio.
Molti parlando di "questa 'comunità'
degli sviluppatori free software tendono a metterne in luce alcuni
aspetti che con le parole di Paul K. Feyerabend si potrebbero
definire come 'anarchici'. Si tratta in sostanza di un ambiente
segnato da un caos creativo, dove ogni giorno nascono progetti nuovi
e altri in corso di sviluppo vengono abbandonati per mancanza di
interesse da parte degli sviluppatori" (16).
Questa comunità è in grado di trovare gli errori al software e di correggerli in brevissimo tempo, cosa assolutamente impossibile per un produttore di software proprietario che non potrà mai disporre di una così vasta comunità di sviluppatori che verifichi, gratuitamente, i suoi programmi.
E si spiega perfettamente perché il produttore monopolista
non ha alcun interesse a portare avanti lo sviluppo tecnologico, anzi
il suo interesse è quello di soffocare ed eliminare qualsiasi
nuovo potenziale concorrente innovativo si presenti nel mercato (17).
Personalmente vedo la filosofia del software libero come il
rinascimento culturale del software.
Si capovolge la gestione del
sapere, nel senso che la conoscenza (il sapere) passa dalle mani di
pochi al popolo, alla comunità scientifica.
Con Francesco
Bacone potremmo dire che "sapere è potere"
"giacché laddove non si conosce la causa non si può
produrre l'effetto"(18).
E' una liberazione dal monopolio della conoscenza del software.
Secondo la filosofia di Francesco Bacone gli uomini dovrebbero
concepire il desiderio di conoscere "ispirati dal sincero
desiderio di dare una vera immagine dei doni della loro ragione, a
beneficio e utilità degli uomini" (19).
Ecco,
penso che la filosofia del software libero rifletta una concezione
della scienza simile a quella baconiana.
Non a caso la filosofia
GNU e la licenza GPL si basano sui valori della cooperazione e del
solidarismo sociale contrapposti a quelli repressivi-polizieschi del
software proprietario monopolistico.
Questa filosofia valorizza altresì il lavoro dell'uomo, in quanto ci sarà sempre più bisogno di persone in grado di mettere le mani nel software libero, dare assistenza ai clienti, di dare formazione professionale, togliendo anche queste attività dalle mani del monopolio informatico che riserva a sé queste attività.
Potremo così porre fine alla "gabella
di Redmond".
Scelto il software, si trattava di scegliere l'hardware: anche qui
grazie a questa nuova filosofia la scelta è stata agevole.
Il software libero non essendo prodotto da una azienda o da
imprese al solo scopo di lucro, ma dalla comunità degli
sviluppatori che sono anche i primi utilizzatori non ha la logica
consumistica che obbliga l'utilizzatore, ogni uno o due anni, ad
aggiornare il software e conseguentemente l'hardware, per fare le
stesse cose di prima, se non peggio (20).
Nella
documentazione GNU spesso leggiamo:"Quando è
necessario l'aggiornamento del software? In generale dovreste
prendere in considerazione l'aggiornamento solo quando ne avete reale
necessità" (21).
Il software libero fa sì
che l'utente utilizzi il software che più gli è utile
per certi obiettivi, indipendentemente dal fatto che sia più o
meno datato.
In questo modo si possono utilizzare i computer in
maniera ottimale.
Il software libero può essere usato
su qualsiasi tipo di macchina (ovviamente con prestazioni diverse).
E qui ci è venuta incontro la politica del "grande
gabelliere".
Che cosa ha prodotto, fra l'altro, questa
politica negli ultimi 15 anni?
Ha fatto riempire tutti i
magazzini (compresi quelli di molte scuole) di computer
'obsoleti'.
Ma utilizzabili "a costo zero" con il
software libero!
Inizialmente ho
riutilizzato alcuni 286 della mia scuola ,che nessuno poteva più
usare, e li ho trasformati in stazioni (client) ad interfaccia a
carattere di GNU/Linux, stazioni che a scopo didattico andavano e
vanno più che bene (si lavora con la classica riga di comando)
e ho utilizzato come server vecchi 386 (e man mano che diventavano
'obsoleti' anche alcuni Pentium).
Ho presentato, nel 1998, due
progetti utilizzando gli spazi offerti dall'autonomia scolastica (1):
- uno, per costituire e gestire un laboratorio di informatica,
non essendo previsto per l'insegnamento di informatica nelle scuole
professionali, dove la materia è curriculare (sic!);
- un
altro, per svolgere un corso di aggiornamento per docenti sul sistema
operativo GNU/Linux.
Si trattava solo di finanziare il 'lavoro
umano' (investire in risorse umane) necessario all'attuazione dei
suddetti progetti, il tutto per circa dieci milioni.
Grazie al
fondamentale lavoro di Daniele
Giacomini che con la sua opera 'Appunti di informatica
libera' ha colmato una lacuna nella documentazione GNU/Linux in
Italia, http://www.pluto.linux.it/ildp/AppuntiLinux/index.html
ai
preziosi contributi di Fulvio
Ferroni e di Umberto
Zanatta e al sostegno degli Organi dirigenti dell'Istituto
professionale 'Fabio Besta' di Treviso, ho potuto costruire una
internet scolastica.
Era il presupposto tecnologico per la
formazione della figura professionale del tecnico del commercio
elettronico, che si stava delineando e che si sarebbe successivamente
realizzata, in regime di autonomia, nella terza area di
specializzazione, area tipica degli istituti professionali.
Attualmente il laboratorio
è costituito di due reti, collegate ad Internet, trasversali a
due aule: in un'aula ci sono i 286, nell'altra i Pentium.
Un
Pentium svolge il ruolo di router tra le due reti, nello stesso
Pentium è installato il domain name system (dns) per la
risoluzione dei nomi delle macchine.
Un altro Pentium è
adibito a server web (apache), a server nis (abbiamo circa 200
account da gestire) e proxy server (squid) e a server di posta
(sendmail).
In un altro Pentium abbiamo installato il server di
database postgresql per le esercitazioni sulle basi di dati.
Infine
a livello server abbiamo riservato un Pentium per uscire in Internet
(ppp), perciò questo farà il mascheramento delle due
reti interne e da firewall (ipchains).
Questo a livello server
dove svolgiamo le esercitazioni sul sistema operativo, sulle reti
tcp/ip, sul server web, sulla posta elettronica, sulla programmazione
e sulla gestione di base di dati.
Nel laboratorio recentemente è
stato installato un software libero specializzato e orientato al
commercio elettronico che permette di interfacciarsi al dbms
postgresql e al server web apache utilizzando il linguaggio perl.
Questo, attualmente in fase di studio, ci servirà per
creare procedure di commercio elettronico 'al volo'.
A livello client su tutti i Pentium abbiamo installato Netscape e StarOffice su ambiente GNOME: Netscape per navigare in intranet/Internet, StarOffice per svolgere esercitazioni di automazione d'ufficio.
L'aula dei 286 ci permette
le seguenti esercitazioni:
- con il database postgresql tramite il
client psql,
- sul sistema GNU/Linux,
- sul
linguaggio perl,
- sulla posta con mail,
- sull'html con il
vi,
- sul web con lynx.
Il software per un insegnante che utilizza le nuove tecnologie
corrisponde sostanzialmente al libro di testo. Perché allora
fra due libri di testo avrei dovuto far acquistare il libro che
costava di più, che mi avrebbe fatto spendere di più
per utilizzarlo e che, a mio giudizio, era più scadente
culturalmente e didatticamente.
Non c'era ragione!
E in
effetti così ho fatto e il costo del software è stato
di zero lire.
Di conseguenza il costo per queste due aule, è da imputare totalmente all'hardware (cablaggio reti, acquisto degli hub, acquisito di alcuni Pentium e di alcuni portatili) ed è stato di circa 60 milioni di lire.
Considerato che abbiamo un po' più di 60 posti di lavoro (più di 40 'vecchi' 286 e 20 Pentium) possiamo dire che un posto di lavoro per svolgere esercitazioni di informatica, di commercio elettronico, di automazione di ufficio, è costato, al contribuente, circa un milione a postazione.
Sempre più leggiamo che verso il 2002/2003 in Italia vi
sarà una carenza di personale preparato sulle nuove tecnologie
e in modo particolare sulla tecnologie riguardanti il commercio
elettronico.
Considerando che già negli Stati Uniti il 56%
delle aziende utilizza anche il software libero (22) è
prevedibile che anche in Italia questo software verrà adottato
in parecchie realtà aziendali sia per la sua efficienza che
per il suo prezzo, che in molti casi è zero.
E' evidente
che le aziende più dinamiche si orienteranno sul software
libero, e questo non tanto per una questione etica o morale, quanto
per una questione di convenienza economica (rapporto costi/benefici).
Ecco allora che il mercato del lavoro richiederà con molta probabilità figure professionali preparate sì nel commercio elettronico, ma soprattutto preparate nel commercio elettronico su piattaforme di alta qualità, a basso costo.
E queste competenze informatiche sul software libero saranno
sempre più richieste dal mercato. Per cui questo software, a
mio avviso, avrà grandi prospettive oltre al suo alto valore
didattico e culturale.
La nostra esperienza, seppur modesta, può già ora
essere utilizzata per avanzare alcune proposte generali ed altre più
particolari, per introdurre la filosofia del software libero nella
scuola.
Innanzitutto dobbiamo partire dal presupposto che
introdurre il software libero nella scuola significa introdurre una
vera cultura informatica che non può prescindere dalle risorse
umane.
Solo se nelle scuole abbiamo risorse umane, variamente
competenti nel settore informatico, possiamo proporre il discorso
GNU/Linux.
Un altro presupposto è rappresentato dalla
cultura dell'autonomia scolastica.
Le proposte sottoelencate
potranno avere attuazione solo nella scuola dell'autonomia essendo
stato "il modello centralizzato e autoreferenziale di
gestione della scuola" (23), a mio giudizio, incapace in
questi ultimi 15 anni di introdurre nella scuola italiana una vera
cultura informatica, fors'anche perché in 'soggezione',
gia' da allora, al nascente monopolio del software.
Utilizzando gli spazi offerti dalla scuola dell'autonomia e partendo dalla situazione esistente, possiamo fare le sottoelencate proposte e tracciare le seguenti linee guida, alle quali se ne potranno affiancare altre.
Per lo sviluppo della cultura informatica in generale
A.1.-
dobbiamo far sì che nelle scuole attrezzate con una o più
aule di computer, venga previsto e assegnato un docente di
informatica, come amministratore di sistema, e/o di rete, e/o di
database, (eventualmente di altri segmenti a seconda delle necessità)
parzialmente legato all'insegnamento dell'informatica;
A.2.-
dobbiamo far sì che nelle scuole siano previsti e assegnati
insegnanti tecnico-pratici competenti in materia informatica, che
facciano da supporto all'insegnamento dell'informatica e alla
didattica multimediale;
Per l'introduzione del software libero
B.1) dobbiamo
proporre di organizzare corsi di aggiornamento su GNU/Linux ed
incentivare, nel rispetto della libertà d'insegnamento, questo
software sia per il suo valore etico, didattico, culturale che per
ottimizzare il rapporto costo/benefici;
B.2) dobbiamo creare
esempi di didattica, nelle varie discipline che si basino sul
software libero,
B.3) dobbiamo produrre materiale didattico
(libri, dispense, ecc.) e metterlo a disposizione di tutti,
utilizzando anche la rete Internet;
Per l'introduzione di elementi di commercio elettronico
C.1.-
dobbiamo ampliare l'offerta formativa proponendo di modificare i
programmi e i contenuti dei curricoli sia nell'attuale, che nel nuovo
ordinamento, introducendo il software libero nella didattica ed
elementi di commercio elettronico nelle discipline coinvolte (mi
riferisco all'area di progetto della scuola tecnica, alla terza area
di specializzazione del professionale, alla quota in autonomia dei
programmi della futura riforma della scuola e del riordino dei
cicli);
C.2.- A livello di scuola/mondo del lavoro,
scuola/Università e scuola/autonomie locali, potremmo proporre
la formazione del tecnico del commercio elettronico su ambiente
GNU/Linux:
- attuando corsi in collaborazione con enti
imprenditoriali e/o locali;
- attuando corsi di Istruzione e
Formazione Tecnica Superiore in collaborazione con Università
ed enti imprenditoriali e/o locali (2);
- svolgendo moduli
didattici in vari contesti di educazione permanente rivolti a
soggetti sociali diversi.
Su queste proposte si dovrà creare un movimento che sia trasversale sia a livello politico che sindacale fra gli operatori scolastici (Dirigenti, Insegnanti, Tecnici, Amministratori) che dovrà essere la sintesi dei vari approcci al software libero: politico, filosofico e culturale, didattico, tecnico ed economico, perché tutte queste componenti avranno un ruolo importante in questo rinnovamento.
***
Dobbiamo puntare ad una formazione professionale che sia cultura
della professione, che si fondi su saperi consolidati e non su
apparenze o mode, che si basi sul rendere una persona autonoma e
consapevole nelle decisioni, libera nella scelta delle varie opzioni
che le verranno offerte dal mercato del lavoro.
Lo studente non
deve essere condizionato fin dalla scuola a diventare mero
consumatore, appiattito su singole interfacce grafiche di prodotti
monopolisti, ma deve essere partecipe, anche criticamente, del sapere
tecnologico per inserirsi nella società come soggetto e non
come oggetto.
Le nuove tecnologie nella scuola pubblica non abbisognano di spese per acquisto di macchine che obbligano ad usare un solo libro di testo che diventerebbe 'il libro di regime', ma di investimenti sulle risorse umane, di investimenti sulla autonomia della scuola, abbisognano, in poche parole, di lungimiranza culturale e politica.
Solo così potremo scrivere i nostri libri di testo e stare al passo con le trasformazioni prodotte dalla rete Internet, solo così potremo leggere e prevedere la trasformazione economica e sociale nella quale siamo immersi e capire il valore rivoluzionario del software libero.
E far sì che il software libero svolga un ruolo di volano dello sviluppo sociale ed economico in un paese civile.
Treviso, 30 novembre 2000
Antonio Bernardi
Copyright © 2000 Antonio
Bernardi
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Nomi e marchi
citati nel testo sono generalmente depositati o registrati dalle
rispettive case produttrici.
1.- Legge 440 del 18 dicembre 1997, Lettera circ. 19 maggio 1998, Progetti per la sperimentazione dell'autonomia prot. n. 2781/BL,
2.- Per un dettaglio sui contenuti delle singole materie si veda orientativamente il programma per il progetto IFTS 2000/20001 presentato dall'Istituto Besta alla Regione Veneto, http://www.pluto.linux.it/scuola/citta/Treviso/Besta/ifts-2000-2001.html
3.-Tim O' Relly: "Hardware, software e infoware", in OpenSources, ed. Apogeo, 1999, pag. 207,
4.- R. Maragliano intervista a L'Unità in L. Russo: "Segmenti e bastoncini", ed. Feltrinelli, 1998, pag. 90,
5.-Circ. Min. 192 24/4/97, Ministero della Pubblica Istruzione: Programma di sviluppo delle tecnologie didattiche 1997-2000,
6.- Alessandro Rubini: "Verso un'etica del software" ne 'Il giornale dell'ingegnere', http://www.linux.it/GNU/etica-sw.html/
7.- R. Stallman: "Il progetto GNU" in OpenSources
ed. Apogeo, 1999, p. 57,
R. Stallman: "Il Manifesto GNU"
http://www.linux.it/GNU/manifesto.html
8.- Giulio Mazzolini: "Software e copyright",
settembre, 1998,
http://cesare.dsi.uniroma1.it/LaboratorioII/cdrom/meeting/atti/node51.html
I brevetti sul software: il
problema,
http://no-patents.prosa.it/brevetti/
9.- R. Stallman: "Cos'è il software
libero",
http://it.gnu.org/philosophy/free-sw.it.html
10.- Alcei "Va di male in peggio la legislazione italiana
sul diritto di autore",
http://www.alcei.it/news/es000725.html
Andrea Monti: "La
nuova legge del diritto di autore come si applica alle scuole?",
in PC Professionale, novembre 2000, pag. 294,
11.- Giulio Mazzolini: "Software e copyright", settembre, 1998, http://cesare.dsi.uniroma1.it/LaboratorioII/cdrom/meeting/atti/node51.html
12.- Douglas W. Jones: "Election Privacy and Security",
http://www.cs.uiowa.edu/~jones/voting
13.- Di Cosmo in Paolo Rauzi e Luisa Bortolotti: "Software libero e libertà di insegnamento", in 'Atti del seminario informatica e scuola il fenomeno Linux', Trento, 2000, pag. 125, http://www.provincia.tn.it/istruzione
14.- Massimo Parolini: "Questo Linux è mio e lo
gestisco io", in 'Atti del seminario informatica e scuola il
fenomeno Linux', Trento, 2000, pag. 121,
http://www.provincia.tn.it/istruzione
15.- Eric S. Raymond: "La cattedrale e il bazaar",
in 'Atti del seminario informatica e scuola il fenomeno Linux',
Trento, 2000 pag. 161,
http://www.provincia.tn.it/istruzione
16.-Paolo Rauzi e Luisa Bortolotti: "La filosofia della scienza come chiave di lettura del free software" in 'Atti del seminario informatica e scuola il fenomeno Linux', Trento, 2000, pag. 11, http://www.provincia.tn.it/istruzione
17.- W. Goldman Rohm: "Il rapporto segreto Microsoft", Garzanti, 1999,
18.- E. J. Dijksterhuis: "Il meccanicismo e l'immagine del mondo", ed. Feltrinelli 1971, pag. 536,
19.- Marie Boas: "Il rinascimento scientifico 1450-1630", ed. Feltrinelli 1973, pag. 211,
20.- G. Mura: "Salvate la lingua dai giornalisti robot", in 'La Repubblica', 26 novembre 2000, pag. 47,
21.- Matt Welsh & Lar Kaufman: "Il Manuale di Linux", ed. Jackson libri, 1997, pag. 174,
22.- Il sole 24 ore "La rivoluzione dell'open source", 4 ottobre 2000,
23.- Ministero Pubblica Istruzione "Programma quinquennale
di progressiva attuazione della legge 30/2000 di riordino dei cicli",
pag. 6,
http://www.istruzione.it/ news/2000/cicli_031100.htm