Software libero e libertà di pensiero: un itinerario scolasticamente percorribile?




Il perché

Accade molto spesso che, quando un insegnante di italiano viene in contatto con materie scientifiche, si senta circondato da una sorta di alone che lo fa sentire straniato rispetto all’ambiente in cui si muove. La sensazione si accentua nel caso dell’informatica, scienza nuova e profondamente innovatrice, universo a parte popolato spesso di guru e ricco di misteriose procedure che con difficoltà permette di entrare a corpi estranei. Non parlo soltanto (ma anche) del mondo relativamente semplice legato alla video scrittura, ormai metabolizzato nella pratica anche dagli insegnanti non-esperti, ma del vero mondo dell’informatica intesa come scienza, intesa come nuova frontiera della conoscenza. L’approccio quindi che mi si è prospettato è stato per me notevolmente interessante anche perché sono convinta che quella dello straniamento sia una delle situazioni più fruttuose dal punto di vista cognitivo e relazionale.

Se poi l’approccio viene proposto attraverso la strada che passa dalla filosofia della scienza, la tentazione di accettare l’esperienza è impossibile da vincere, nonostante le difficoltà didattiche che essa indubitabilmente comporta.

L’idea non è partita da me, ma dal mio collega di informatica e mi è sembrata un’ottima occasione per tentare l’approccio pluridisciplinare di cui sono piene le programmazione, ma che può essere perseguito solo con grande difficoltà nella pratica didattica quotidiana di una scuola che non ha, a partire dal proprio corpo docente, una visione unitaria del sapere ma troppo spesso pluricellulare, costituita da compartimenti invalicabili tra discipline.

Entriamo però nei dettagli dell’esperienza a partire dalla semplice idea di base: far lavorare una classe quarta di un istituto professionale per il commercio sul problema della libertà di espressione a partire dal software libero, ma con collegamenti storici e filosofici con il programma di storia della letteratura che viene svolto normalmente in classe e con la preparazione al saggio breve dell’esame di stato. In poche parole: mescolare tutto il possibile senza perdere la ricetta del minestrone e cercando di dargli un sapore accettabile sia per chi lo cucina sia per chi lo mangia, in definitiva per gli studenti stessi. Cosa non facile come ben sanno tutti quelli che ci hanno provato.

Ma come sviluppare concretamente tutto ciò? Utilizzare le lezioni frontali mi sembrava alquanto scontato e poco produttivo perché avrebbe proposto un approccio tradizionale ad un tema che tradizionale e scontato senza dubbio non è. Non doveva quindi diventare un altro argomento di studio, staccato dalla quotidianità, dalla vita, dai problemi concreti sui quali comunque gli studenti sono portati a confrontarsi,

Doveva essere proprio questo: una visione “altra” del reale, ma allo stesso tempo doveva costituire un legame forte con la cultura passata. Il messaggio in fondo era sempre lo stesso che avevo cercato di trasmettere dalla classe terza in poi: quale chiave di lettura degli autori e del periodo storico culturale possiamo conservare per tenere saldo in mano il filo rosso della comprensione del mondo che ci circonda? E’ evidente che un obiettivo di tal genere è altissimo, ma (per quanto mi riguarda), nonostante tutto, raggiungibile. Nonostante il livello culturale e di alfabetizzazione sempre più basso da parte degli studenti, nonostante le difficoltà oggettive in cui la scuola si dibatte e su cui inutilmente si dibatte. Nonostante tutto, la pratica quotidiana mi dimostra che qualcosa resta: per alcuni (pochissimi) il filo è solido e serve loro per orientarsi un po’; per altri (pochi) appare a tratti e rende un po’ più facile il percorso, una specie di stradina di Pollicino con molte briciole mancanti dal sentiero; per gli altri (tanti) fa comunque apparire qualche flash, balenare qualche collegamento. Resta in ogni caso un lavoro su cui vale la pena sudare.

Moltissime sono le questioni in campo e netto è il rapporto tra il passato e il presente. Vediamo solo quelle più rilevanti e scolasticamente percorribili.


Open Source e metodo scientifico: la rivoluzione scientifica e metodologica di Galileo, il simbolo della ricerca scientifica e della libertà di pensiero contro ogni forma di dogmatismo morale e religioso, ha basato la sua forza sulla divulgazione e sulla rielaborazione dei risultati raggiunti che per essere validi dovevano essere replicabili. Ma non si può riprodurre un risultato (e quindi controllarlo ed espanderlo) se non sono noti i dati procedurali che lo hanno generato. In linguaggio informatico i sorgenti.


Condividere la conoscenza: dall’Encyclopédie a Internet. L’idea di una “comunità pensante” come forza di cambiamento rispetto ad un sapere inteso come infinitamente incrementabile. Non un sistema del sapere ma un sapere sistematico, un metodo di ricerca e organizzazione delle conoscenze non deduttivo e sempre aperto a nuovi apporti.


Il software libero e l’indipendenza culturale: dall’ipse dixit alla possibilità di imparare a comprendere, non ad essere ammaestrati.


Il come

Il percorso quindi è stato pensato in maniera duplice: inserito all’interno della programmazione di storia della letteratura, dopo la trattazione del Seicento e del Settecento con lo specifico riferimento alla rivoluzione scientifica galileiana e all’Illuminismo, in special modo all’Encyclopédie; verificato attraverso la trattazione di un articolo informativo e di un saggio breve come preparazione della modalità di scrittura che viene utilizzata per la stesura della prima prova scritta di maturità, tipologia B. Come si può notare il tutto restava legato alla trattazione curriculare, ma dava anche la possibilità alla classe di misurarsi con argomenti nuovi.

La prima fase è stata quella di conoscenza dell’argomento: nonostante fosse il secondo anno che gli studenti avevano a che fare con Informatica e con le problematiche legate al software libero e a quello proprietario, la trattazione di un argomento così specifico doveva in qualche modo prevedere una preparazione informativa specifica di base, per questo è stata scelta la modalità del cooperative learning, un sistema che permette la strutturazione di lavori di gruppo per l’analisi e la produzione di materiali molto particolare e che di solito sortisce frutti positivi e permette di procedere in tempi relativamente brevi.

Il primo materiale che è stato sottoposto all’analisi degli studenti riguardava l’avvento del software libero da cui sono stati tratti i dati necessari per elaborare dei brevi testi informativi e un glossario; l’obiettivo era quello di fornire ad un pubblico non esperto le informazioni necessarie per accedere ad una successiva rielaborazione critica del problema. Questa fase è stata facilmente completata dall’intera classe perché in fondo venivano richieste capacità compilative, conoscenze di base del problema che comunque gli studenti possedevano attraverso lo studio della materia informatica e del sistema Linux.

Il tema da svolgere era: “Software libero e software proprietario: quali sono le ragioni a favore della prima e della seconda scelta?”

Il secondo passo è stato più complesso: ogni studente doveva elaborare un testo argomentativo utilizzando sia quanto aveva appreso nella fase informativa, sia la documentazione nuova successivamente fornita insieme con una serie di collegamenti con conoscenze di tipo culturale, storico e filosofico apprese nello studio della storia della letteratura.

Il tema da cui partire era: “Dalla Encyclopedie a Internet: la libertà di espressione come segno della libertà dell’individuo?”

I risultati, a mio avviso, sono stati estremamente stimolanti perché hanno messo in luce proprio attraverso ingenuità, errori, luoghi comuni tutta una serie di spunti fecondi di riflessione e di discussione. Solo alcuni esempi a partire dai titoli scelti: da “Come difendere la propria libertà” a “Due mondi a confronto: software libero e software proprietario” fino all’ossimorico “Prigionieri della nostra libertà” e al passionale “Ti senti completamente libero, individuo?”.

Le affermazioni contenute negli elaborati poi sono molto interessanti: “Dobbiamo comunicare perché è l’unico modo per raggiungere la nostra libertà. Chi vuole bloccare le idee, tappa la nostra bocca e non ce le fa comunicare, bisogna rendere la comunicazione libera o non saremo mai in grado di ritenerci liberi e rendere libere le altre persone.” “Mentre nel mondo dei software si crea questa lotta ideologica sulla proprietà e sul controllo dell’informazione, nel mondo di Internet si sviluppa l’espressione della nostra società, che viene a contatto con ogni cultura e ogni parte del globo.” “Studiare un programma significa avere piena capacità di pensiero e parola, conquistando così la possibilità di interagire con la società e di essere accettati per quello che si vale veramente.”

Che fare ora di tutto il materiale e come metterlo a frutto dato che questo è chiaramente solo l’inizio di una riflessione molto più complessa? L’idea è quella di continuare il lavoro sullo stesso tema (il filo rosso della comprensione del mondo …) ma con modalità differenti: in primo luogo rielaborazione e discussione di quanto gli studenti hanno prodotto e che fino ad ora è stato loro personale patrimonio. Poi messa in rete degli elaborati e apertura a lavori successivi, a discussioni e a chat-line.


Il quando

La consapevolezza chiarissima da parte dell’insegnante è quella dell’estrema necessità di tempi lenti, non tanto per la concreta attuazione di moduli pluridisciplinari di questo tipo, ma per la loro reale metabolizzazione in corpore vivo da parte degli studenti. Fuor di ironia, è fondamentale aver sempre presente che non da una sporadica per quanto affascinante trattazione pluridisciplinare di questo genere, può venire una reale e misurabile ricaduta positiva nelle procedure e nelle aperture mentali degli studenti bensì da una quotidiana riproposizione di quelle che potrebbero essere definite le procedure dell’apprendimento: riflettere sugli strumenti utilizzati, sui passi percorsi, sul loro perché, sui possibili collegamenti attraverso la pratica quotidiana della condivisione di conoscenze e competenze, sulla verifica reciproca del loro funzionamento.

Con un occhio disincantato aperto su di un mondo di per sé carico di stereotipi e pregiudizi ed estremamente bisognevole di pensiero libero, ma libero veramente proprio a partire dagli strumenti attraverso i quali ci avviciniamo alla conoscenza.

Se non lo possiamo fare almeno a scuola …


Treviso 8/2/2003

Mariacarla Vian

docente di Italiano e Storia presso l'IPC Fabio Besta di Treviso

mcvian@libero.it